SLITTAMENTI PROGRESSIVI DI UNA LETTRICE DAL GIALLO AL NOIR
di Rosalba Balsàno

Non c'è dubbio, ai ragazzi piace il giallo investigativo e non c'è niente di meglio della biblioteca di un istituto superiore per verificare questa affermazione: l'autrice più amata in assoluto dagli studenti è lei, la signora del congegno a orologeria, improbabile ma razionalissimo, sua maestà Agatha Christie. La bibliotecaria (cioè chi scrive) d'altra parte ritrova nei gusti degli studenti le sue stesse preferenze di studentessa che ha cominciato a leggere gialli a 14 anni e dunque è perfettamente in grado di capirne la motivazione.

Il giallo è fondamentalmente rassicurante: attraverso l'investigazione, cioè l'analisi razionale dei fatti, riporta l'ordine che era stato spezzato dalla violenza e dalla morte e, in questo modo, placa le paure oscure dei lettori; per questo i miei primi romanzi (come quelli dei miei studenti) sono stati i classici della logica applicata al delitto: Sherlock Holmes, Hercule Poirot e i misteri della camera chiusa, che rappresentano anche una sfida: riuscirò a indovinare l'assassino prima che l'investigatore lo riveli?

Ma se la motivazione che spinge i lettori verso i gialli investigativi è chiara, un po' meno lo è quella che sposta alcuni, me compresa, verso il noir . Come mai, a un certo punto, il giallo classico per alcuni perde il suo fascino a vantaggio dell'universo disordinato e violento del noir , mentre altri non sopportano quest'ultimo genere?

Per quanto mi riguarda lo scivolamento verso il noir é legato al ricordo di un film visto a nove anni, in cui la vicenda era raccontata dal punto di vista di un  bambino; il film  però non era proprio  per  bambini, si trattava infatti

de La morte corre sul fiume di Charles Laughton. L'impressione dell'ombra di Robert Mitchum proiettata sul muro della camera dei due piccoli protagonisti o dell'ombra delle sue mani protese verso di loro, mentre cerca di catturarli in cantina, è qualcosa che non si dimentica  facilmente, come pure i lunghi capelli biondi del cadavere di Shelley Winters fluttuanti sotto l'acqua del fiume. Diciamo la verità: un giallo classico non riesce minimamente ad emozionare quanto la caccia che Robert Mitchum dà ai due bambini.

Il giallo di investigazione ristabilirà pure l'ordine e l'equilibrio, ma per questo è necessario che essi siano violati dalla morte violenta, e non è forse quest'ultima, in realtà, il motivo principale per cui ci si accosta alla letteratura gialla? A soddisfare il bisogno di logica basterebbe una buona rivista di enigmistica, mentre è proprio il sangue a dare sapore e spessore al giallo.

A confermami in queste riflessioni ha contribuito il saggio di Raymond Chandler La semplice arte del delitto in cui, dopo aver allegramente demolito proprio il giallo classico (o all'inglese), l'autore afferma: «Hammett ha tirato fuori il delitto dal vaso di cristallo e l'ha buttato in mezzo alla strada… ha restituito il delitto alla gente che lo commette per ragioni concrete, e non semplicemente per fornire un cadavere ai lettori. E questo delitto lo ha fatto compiere con mezzi accessibili, non con pistole da duello intarsiate, curaro e pesci tropicali». E ancora: «Il realista poliziesco narra d'un mondo in cui i gangster possono dominare le nazioni e poco manca non governino le città». Il delitto insomma non è una questione di logica ed equilibrio da ristabilire, ma l'estrema manifestazione della violenza insita nella natura umana, semplice da capire e ancora più semplice da commettere.


A determinare lo slittamento però non bastano le considerazioni teoriche, è necessario soprattutto l'incontro con gli autori giusti che nel mio caso, più che Raymond Chandler sono stati Ruth Rendell, Patricia Highsmith e Cornell Woolrich. Per quanto riguarda Ruth Rendell e Patricia Highsmith la caratteristica che mi ha più colpito (soprattutto in contrasto col giallo investigativo classico) è l'assoluta amoralità del loro mondo: il caos, l'ingiustizia, il disordine, l'ambiguità, non redenti da nessun finale consolatorio, fanno irruzione nei loro romanzi, devastando le esistenze dei buoni e normali (o apparentemente tali: difficile stabilire precisi confini nel mondo delle due ineffabili signore).

Gli assassini la fanno franca, mentre i non colpevoli (non gli innocenti, non esistono innocenti) sono vittime di una casualità non so se più crudele o beffarda. Tom Ripley trionfa, ma Robert, l'incolpevole protagonista de Il grido della civetta è perseguitato, inseguito dalla morte che distrugge la sua vita. In Acque profonde non si può non fare il tifo per l'assassino Victor e augurarsi che l'insopportabile moglie Melinda venga finalmente fatta fuori (ma quanto è brava Patricia a dipingere spietati ritratti di donne insopportabili, mettendo in evidenza il peggio della natura femminile in situazioni assolutamente quotidiane!).

- La morte corre sul fiume -
Colonna sonora (Bear Family 1998)


Dove se non in un romanzo di Ruth Rendell ( La notte dei due uomini ) un giovane omosessuale può innamorarsi di una donna, uccidere per lei il suo amante, farla franca e vivere con lei? (In realtà la situazione è più complicata: la donna è la gemella dell'amante che non è affatto morto, ma morirà in seguito, ucciso da qualcun altro. La sostanza però non cambia). Per non parlare della perfezione da manuale dei Coverdale: aperti, intelligenti, affettuosi, pronti a correggere i loro errori e a fuggire da pregiudizi e luoghi comuni. Purtroppo questa famiglia modello è capitata in un romanzo di Ruth Rendell ( La morte non sa leggere ), e pertanto è destinata ad essere sterminata dalla plumbea, ottusa e soprattutto analfabeta, governante Eunice Parchman e dalla sua amica Joan.

Ma, se il meccanismo investigativo è ancora presente nei romanzi di Rendell e Highsmith (e dunque l'astuta bibliotecaria provvederà a inserirne qualcuno nella biblioteca d'istituto, come molecole di dubbio in un mare di certezze), esso è assolutamente secondario nei libri di Cornell Woolrich, autentici incubi ad occhi aperti, come quello di Frank Townsend ( Sipario nero ) che, dopo essere stato tramortito da una pioggia di calcinacci ed essersi rialzato sano e salvo, si accorge che la sua vita, la vita che lui ricorda non esiste, che per tre anni lui ha vissuto un'altra vita di cui non ha memoria, ma che si rivela ben presto inquietante. Ancora peggiore è la situazione di Scott Handerson ( La donna fantasma ) che, dopo aver litigato con la moglie, se ne va sbattendo la porta e passa la sera con una donna a cui neppure chiede il nome; il che si rivela un errore fatale quando, tornato a casa, trova la moglie assassinata e la polizia che lo accusa dell'omicidio. Della donna che dovrebbe fornirgli l'alibi nessuno si ricorda, lei non ha lasciato nessuna traccia, Scott non ha nessun nome, eppure è solo questo fantasma che lo può salvare. Né molto migliore è la situazione di Vincent Hardy ( Incubo ) che sogna di commettere un omicidio in una stanza ottogonale tappezzata di specchi e al risveglio trova su di sé le prove evidenti che il delitto è avvenuto davvero. Anche il punto di partenza di Dentro la notte è un incubo: una ragazza vuole uccidersi, ma la pistola fa cilecca; lei, felice di essere ancora viva, butta via la pistola, ma l'impatto fa partire un colpo che uccide una donna che passava per strada in quel momento. Situazioni improbabili? Non c'è dubbio, ma non è questo il punto. Quello che conta è l'angoscia della trappola che scatta, inevitabile e gratuita, per il protagonista e la consapevolezza che lo stesso meccanismo, proprio per la sua gratuità, potrebbe stritolare anche noi che stiamo leggendo, distruggere la nostra rassicurante normalità e fare a pezzi le certezze su cui abbiamo costruito le nostre vite.

«Ma sulla strada dei criminali deve camminare un uomo che non è un criminale, che non è un tarato, che non è un vigliacco… Deve essere, per usare un'espressione un poco abusata, un uomo d'onore» (Raymond Chandler). Siete convinti anche voi come Raymond Chandler che il detective sia l'ultima spiaggia, l'ultima certezza del noir ? E allora tenetevi alla larga da James Ellroy, nel suo universo i detective condividono con gli assassini (e che assassini, tra i peggiori che vi possa capitare di incontrare) corruzione e nevrosi. Si conoscono perché si somigliano e non è detto che una parte della barricata sia migliore dell'altra. Nei romanzi di Ellroy la frontiera tra il bene e il male è più vaga dello sfumato leonardesco, più attraversata, da una parte e dall'altra, del confine tra Usa e Messico. Addentrarsi nel suo mondo può portare all'incontro più agghiacciante: quello con il nostro lato oscuro, come è capitato a me leggendo Dalia nera , quando mi sono trovata a pensare: «Potrei essere io il killer. Potrei averlo fatto io». Perché c'è una paura peggiore di quella di essere le vittime di un assassino, ed è quella di poter essere l'assassino.

L'ultima certezza che il noir demolisce è quella che nutriamo su noi stessi: «Io? Io non lo farei mai!» Per questo il noir è una lettura per adulti, ma proprio per questo una buona bibliotecaria deve cominciare a piantare per tempo qualche seme di noir : niente infatti è più pericoloso delle certezze troppo granitiche.

© Rosalba Balsàno

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