UN CAPOLAVORO DIMENTICATO: MALPERTUIS
di Rosalba Balsàno
Malpertuis (1943) del belga Jean Ray (1887-1964) è uno dei più straordinari romanzi della letteratura fantastica. In Italia però ha avuto una fortuna assai limitata: pubblicato infatti una prima volta nel 1966 dalla Sugar, ha avuto soltanto una seconda edizione (1990), ormai fuori catalogo, nella collana “Oscar Horror” della Mondadori. |
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Nel 1971 il regista Harry Kümel ne realizzò una trasposizione cinematografica, da ricordare per una breve apparizione di Orson Welles. Eppure l'originalità di Malpertuis avrebbe meritato ben altra fortuna. Jean Ray usa alcuni elementi convenzionali del genere horror ( la casa, le presenze inquietanti, i maghi Rosa-Croce, la lotta tra Inferno e Paradiso, persino i lupi mannari) e di altri generi (la bellezza fatale, l'amore che uccide) mettendoli però al servizio di un'idea assolutamente originale: quella degli dei dell'antica Grecia (e soprattutto delle divinità preolimpiche) imprigionati in corpi umani, nei quali il ricordo dell'antico potere dorme, pronto a risvegliarsi con effetti devastanti. Malpertuis è una antica dimora, enorme e sinistra, come ogni casa a cui ci ha abituato la letteratura fantastica, ma Malpertuis si chiama anche, nel medievale Roman de Renart , “l'antro stesso della volpe” e dunque, poiché “la figura della volpe appartiene di diritto alla demonologia”, essa è “la casa del male o piuttosto della malizia”. A Malpertuis vivono, costretti alla coabitazione dal testamento di un inquietante despota familiare, il prozio Cassave, un gruppo di persone formato da parenti, servi e bizzarri estranei. I due giovani fratelli Jean Jacques e Nancy sono consumati dalla noia e dalla monotonia delle giornate sempre uguali; il dottor Sambucque è un goloso interessato solo al cibo; il cugino Philarete è uno stupido che coltiva la passione della tassidermia, l'arte cioè di imbalsamare gli animali, dando loro un aspetto vivente; le signorine Cormelon (Rosalie, Eleonore e Alice) ricamano, si lamentano e impartiscono lezioni di morale e buona educazione.Un'altra famiglia, i Dideloo, è formata da Charles, avido e meschino copista comunale, dalla moglie Silvie, interessata solo al suo ricamo, e soprattutto dalla loro figlia, la bellissima, silenziosa, impenetrabile e indifferente Euryale dalla inestricabile capigliatura rossa e dai meravigliosi occhi verdi che tiene quasi sempre socchiusi. |
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C'è poi una bizzarra figura di clochard semidemente, Lampernisse, che una volta vendeva colori e vernici e ora si lamenta perché qualcuno spegne sempre le lampade lasciandolo al buio. E poi ci sono i servi: la buona Elodie, governante di Jean Jacques e Nancy, i coniugi Griboin, due vecchi inerti e silenziosi, senza nessun interesse che non sia quello di contare il denaro che hanno risparmiato e un servo enorme, ma senza nome, senza volto e senza ragione, capace solo di emettere un verso animalesco “Ciek”. Quando tutto sembra perduto e i sopravvissuti Jean Jacques, Lampernisse e Philarete stanno per essere annientati dai mostri in cui si sono trasformate le Cormelon, essi vengono salvati dallo scoccare della mezzanotte e da misteriose figure monacali. Jean Jacques si ritrova solo a Malpertuis, perché la zia Sylvie è stata trasformata in una statua e Lampernisse e Philarete sono scomparsi; a questo punto sente la voce di Euryale: «adesso siamo soli a Malpertuis» e vede nel buio «i terribili occhi verdi» dirigersi verso di lui. Un freddo intenso lo invade e il suo cuore cessa di battere. L'ultima parte della vicenda, affidata a diverse voci narranti, è ambientata nel convento dei Padri Bianchi dove il destino di Jean Jacques si compie e viene rivelato il mistero di Malpertuis: «…gli dei devono la loro esistenza alla credenza degli uomini. Come questa fede si spegne gli dei muoiono. Ma questa fede non si spegne come un soffio, come una fiamma di candela. […] Gli dei vivono d'essa, da essa traggono la loro forza e il loro potere e fors'anche la loro forma. Ora le divinità dell'Attica non sono scomparse dal cuore e dallo spirito degli uomini; la leggenda, i libri, le arti, hanno seguitato ad alimentare il braciere che i secoli hanno sovraccaricato di cenere». Di tutte le antiche divinità è soltanto la Gorgone a sopravvivere in tutta la sua potenza. La forza e il fascino del mito della bellezza medusea e dello sguardo che pietrifica, infatti, hanno attraversato i secoli e hanno riempito in varie forme l'arte e la letteratura e non solo quella “alta”, ma anche quella popolare, perché che altro sono le dark ladies del noir e dell' hardboiled se non l'ultima incarnazione della bellezza fatale che distrugge chi la guarda, che distrugge chi la ama? Il fascino di questo romanzo non è solo nella singolare riproposizione del tema dell'amore che uccide, ma nelle soffocanti atmosfere di provincia in cui il confine tra normalità e morbosità, tra ordine e irrazionalità è indistinto, sfumato dalla nebbia e il quotidiano si affaccia continuamente sul baratro dello scatenamento delle forze primordiali, apparentemente imbrigliate dalla razionalità cristiana e borghese.
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Jean Ray è uno degli pseudonimi usati da Raymond De Kremer, che nasce a Gand nel 1887, figlio di due solidi borghesi: un impiegato del porto e un'istitutrice. Nel 1910, dopo studi regolari, entra nell'amministrazione comunale di Gand; l'anno dopo inizia, sotto lo pseudonimo di Jean Ray, la pubblicazione di novelle su alcune riviste. Nel 1912 si sposa con l'attrice di rivista Virginie Bal da cui ha una figlia. Continua a scrivere e pubblicare novelle e lavora per l'agente di cambio Van Den Bogaerde. Nel 1924 la sua vita ha un brusco mutamento: egli partecipa su un battello al contrabbando d'alcol negli Usa; questo periodo ispira le Histoires de la Rum-Row (la via del rum, cioè la striscia di mare, al di là delle acque territoriali americane dove la guardia costiera non poteva intervenire contro i trafficanti) Nel 1925 sono pubblicati con successo Les contes du whisky . Nel 1926 scoppia uno scandalo finanziario (l'accusa è di distrazione di fondi per approvvigionare il contrabbando d'alcol e di armi) che coinvolge l'agente Van Den Boaerde e il suo uomo di fiducia, Raymond De Kremer, che è condannato a 6 anni e 6 mesi di reclusione. Dopo la condanna continua a scrivere con il nuovo pseudonimo di John Flanders, essendo il nome di Jean Ray ormai bruciato dallo scandalo finanziario a cui è associato. Liberato nel 1929, sotto il nome di John Flanders viene assunto come collaboratore della rivista “Ons Land”. Il decennio 1930-1940 è un periodo di intensa produzione letteraria e giornalistica: sempre sotto lo pseudonimo di John Flanders scrive libri per l'infanzia e ben 250 racconti. |
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Nel 1932, torna a utilizzare il nome di Jean Ray per la raccolta La croisière des ombres che non avrà successo, malgrado la qualità dei racconti che la compongono. © Rosalba Balsàno |