PASCALE FONTENEAU E IL POLAR PLURALE
di Josette Gousseau

Pascale Fonteneau, nata in Francia nel 1963 ma residente in Belgio con la sua famiglia dal 1971, alla letteratura c'è arrivata di sbieco, visto che ha preso le mosse dai socio-polars , quei romanzi noir che corredano la trama poliziesca di un discorso esplicito sulla condizione sociale dei personaggi. E' grazie ad essi che la scrittrice si è fatta una fama ormai ben salda tanto in Francia che in Belgio, i due Paesi in cui ambienta le sue storie. Le sono stati dedicati parecchi siti internet che, nei loro richiami pubblicitari, mirano a dei target ben precisi, tanto perché non ci si scordi che anche il libro è qualcosa che deve vendersi. Alcuni di questi siti ci tengono a sottolineare che Pascale Fonteneau è pubblicata da un editore parigino di prestigio, Gallimard; altri che le sue opere sono state tradotte in più lingue. Alcuni cercano di suscitare la curiosità di un pubblico adulto, affibbiando ai romanzi della scrittice etichette particolari come «mauvais genres» o «chéries noires»; altri si rivolgono agli adolescenti e, insistendo sul piacere di una lettura rilassante, specificano che, come i giovani, «Pascale Fonteneau non ha paura del noir », senza tralasciare che nel 1998 ha ottenuto il “Prix des Jeunes Talents” della Provincia di Liegi. L'autrice stessa, d'altro canto, insiste sulla modernità della propria scrittura che, per usare la sua definizione, coniuga il «bizzarro» col « noir »: «cinismo e sberleffo – ha detto nel corso di un'intervista – sono le due mammelle da cui si nutre il XX secolo». E ha aggiunto non senza malizia: «Potrebbe persino darsi che il noir ne rimarrà scolorito. Staremo a vedere» (1). Quanto si è fin qui detto rinvia al polar , quel genere che dall'America si è innestato sulla tradizione del romanzo poliziesco europeo.


1. La “Série Noire”

E' nel 1945 che Marcel Duhamel fonda la collana “Série Noire” delle edizioni Gallimard, consentendo quindi la diffusione in francese dei romanzi noir americani degli anni Trenta. La violenza del mondo reale fa così la sua apparizione in mezzo alle trame poliziesche, fin lì caratterizzate dalla proposta di enigmi che, lungo l'arco della loro soluzione, impegnavano tutta l'attenzione dei lettori. Nel lancio pubblicitario della nuova collana il suo direttore punta sulla trasformazione del vecchio genere letterario:

«Che il lettore non prevenuto stia in guardia: i volumi della Série Noire non possono andare impunemente per le mani di tutti. Chi ama gli enigmi spesso non ne trarrà alcun profitto. [...] Non sempre il simpatico detective riesce a risolvere il mistero. Certe volte non c'è alcun mistero. E qualche altra volta non c'è proprio il detective. Ma allora? Allora c'è azione, paura, violenza – in tutte le sue forme [...]» (2).

Azione, paura e violenza: a questi ingredienti, che permetteranno alla “Série Noire” di resistere nel tempo, si aggiunge l'umorismo, che caratterizzerà lo stile francese delle narrazioni e che contribuirà alla fortuna del genere polar in Europa. Dopo le iniziali imitazioni di certi autori americani e le divertenti parodie delle loro opere, in evidente contrasto con l'aggressività dei titoli scelti dagli autori francesi, è nei giochi linguistici che viene a realizzarsi il contrassegno redazionale dei nuovi romanzi: giochi di parole, linguaggio parlato e costruzioni sintattiche sincopate ne saranno le caratteristiche distintive.

Parallelamente, quella tensione – di cui la narrazione tradizionale caricava il detective nella sua ricerca del colpevole – si sposta adesso sulla vittima. Di conseguenza un senso di paura prende sempre più campo in questi romanzi che continuano pur tuttavia ad avere per tema un enigma; ma sia il mistero che l'indagine non sono più associati ai personaggi tradizionali. Al posto dello svago subentra la suspense , mettendo a nudo un diverso tipo di rapporto con il mondo.

«Il lettore è portato a identificarsi con una vittima, qualcuno che spesso è senza difesa ed è preso nell'ingranaggio di machiavelliche macchinazioni, di cui non sa nulla e che lo sopravanzano» (3).

La vittima si dibatte allora in una situazione in cui le emozioni hanno la prevalenza sulla ragione, attirando il lettore in quell'universo pulsionale. Ma, dopo il 1968, con l'etichetta “ néo-polar ”, il genere viene pervaso dalla denuncia delle condizioni della società francese contemporanea:

«[...] la descrizione dei costumi, l'osservazione delle classi borghesi nella luce a loro più sfavorevole, la raffigurazione degli ambienti marginali e violenti prendono il sopravvento» (4).

E' così che il polar si va allontanando dall'enigma poliziesco per approdare alla rappresentazione della condizione umana nelle sue situazioni più insostenibili. Jean-Patrick Manchette, lo scrittore francese che si mette alla testa dei giovani autori provenienti dal movimento della contestazione, dichiara: « Polar vuol dire romanzo noir violento». Per poi spiegare:

«Mentre il romanzo a enigma di scuola inglese vede il male nella natura umana, il polar vede il male nell'attuale organizzazione sociale. Un polar parla di un mondo che ha perso il suo equilibrio e che quindi è labile, destinato ad andare in rovina e a scomparire. Il polar è la letteratura della crisi» (5).

Oggi la storia della letteratura s'interessa anche delle strutture narrative di opere che fino a poco tempo fa erano relegate in un ambito etichettato come “para-letteratura”. I diversi “generi”, che sembravano doversi differenziare sempre più, si vanno riunificando. Tutti i sottogeneri possono raggrupparsi sotto l'unico genere riconoscibile, quello del “romanzo”. E' così che opere considerate come “para-letterarie” hanno fatto il proprio ingresso nella letteratura e che i loro autori sono divenuti degli scrittori a tutti gli effetti. Questo percorso esemplare è toccato anche a Pascale Fonteneau.

2. Una strategia delle apparenze

Tutte le opere della scrittrice sono state legate a delle collane in cui la copertina è funzionale al riconoscimento del genere letterario contenuto nel libro. I suoi primi romanzi sono apparsi da Gallimard, e tutti sanno che la “Série Noire” ha associato quel particolare genere al colore del fondo lucido delle sue copertine riquadrate di bianco. Soltanto i caratteri in giallo del titolo e del nome dell'autore richiamano il legame esistente fra il nuovo genere e le prime collane francesi di letteratura poliziesca, che avevano una copertina in cui i caratteri neri erano impressi su fondo giallo. Con tale rovesciamento si voleva adesso segnalare l'avvento di una nuova specificità, ma con quella caratteristica tipica dei generi letterari che, pur consapevoli d'inserirsi in una tradizione preesistente, ci tengono a rivendicare la propria differenza. Confidences sur l'escalier del 1992, Etats de lame del 1993 e Les fils perdus de Sylvie Derijke di due anni dopo corrispondono alla tradizione della collana. La molteplicità dei significati che possono avere i titoli rispetta l'attenzione ai giochi di parole che, all'origine, aveva contribuito al successo della “Série Noire”. Di ogni titolo si possono dare almeno due interpretazioni, con un'ambiguità che rimanda ad una contaminazione dei generi, ad una impropria collocazione nella collana o ad un significato tutto da scoprire. Nell'ultimo titolo, sotto il velo d'una lingua straniera, il nome del personaggio induce il lettore ad un'immediata distinzione sociale: de rijke in neerlandese significa “la ricca”. In tal modo questo socio-polar enuncia la sua problematica sin dal titolo, senza tuttavia rivelarla fino in fondo, trasmettendo al lettore l'aspettativa di un mistero da chiarire. Il volume successivo, Otto , del 1997, si rifà alla memoria storica delle divisioni familiari durante la seconda guerra mondiale e solleva la questione del collaborazionismo. Un ultimo volume, La vanité des pions , si svolge nell'ambiente dei sans-papiers ed è stato pubblicato nella stessa collana nel 2000.

Oggi, da Gallimard, gli autori di polar che siano giunti ad una certa notorietà trovano posto nella collana “Folio-policier”; cosa che, grazie all'etichetta Folio , rappresenta di per sé un qualche riconoscimento letterario. Le copertine mantengono il colore nero, ma qui sono matte; i titoli sono rimasti in giallo, ma il nome dell'autore, ora a caratteri bianchi, attira l'attenzione più del titolo; inoltre il tutto è completato da un'illustrazione a colori. Non ci sarà sotto un ritorno alle origini del genere che, in Francia, è derivato dal “romanzo popolare” (6), o forse anche un'eco dell'attenzione che gli rivolgono i critici letterari e i docenti universitari?

3. Nuove case editrici

Altri due volumi della scrittrice sono stati pubblicati dalla casa editrice Baleine, che ha scelto di dedicarsi esclusivamente al polar . Il titolo del primo, Les damnés de l'artere , del 1995, si rifà al celebre testo di Frantz Fanon, Les damnés de la terre , che denunciò le condizioni dell'etnia antillese in Martinica, e il cui titolo si rifaceva, a sua volta, alla prima strofa dell'inno rivoluzionario di Eugène Pottier l' Internationale (7). Les damnés de l'artere è costellato di citazioni risalenti a Victor Serge, comunista che subì il carcere in Urss per le sue prese di posizione politiche (8). Di fatto il volume fa parte di una serie scritta a più mani, da un'idea di Jean-Bernard Pouy, che ne ha inventato il personaggio principale, organizzando intorno ad esso la collana “Le Poulpe” (9). Il carattere seriale rientra nella tradizione del genere, anche se in questo caso si tratta di gruppi di autori che affrontano uno stesso personaggio. L'obiettivo a cui mira il direttore della collana, Bernard Strainchamps, è di giungere ad un'inversione di tendenza: restituire al polar la dimensione popolare che è in procinto di perdere. In un'intervista di qualche anno fa Strainchamps ha rivendicato come intenzione prioritaria della casa editrice Baleine sia quella di pubblicare «una letteratura accessibile a tutti», opera di autori «sensibili alla nozione di romanzo popolare».

Il secondo volume, La puissance du désordre , pubblicato nel 1997 nella collana “Instantanés du polar”, sarà invece ripreso da Gallimard due anni più tardi e inserito nalla sua collana “Folio-policier”. Questo testo ha le caratteristiche di una letteratura che riflette su se stessa, mettendo a nudo la propria natura di finzione romanzesca, come viene ribadito anche nella frase che lo conclude: «[...] resterà questo libro. L'estrema testimonianza di un uomo che non è mai esistito».

4. Un volume fra gli altri

Per cercare d'interpretare l'opera di Pascale Fonteneau, mascherata dalla generica etichetta di polar , ho scelto di prendere in esame Etats de lame , un romanzo basato sul monologo interiore di un'arma omicida, la lama affilata d'un pugnale. Nella storia del romanzo poliziesco non c'era mai stato un protagonista di questo tipo. Pascale Fonteneau rompe quindi con la tradizione realista che ha permesso al genere di svilupparsi, ma viene ad inserirsi nella letteratura contemporanea, praticando quelle autoriflessioni critiche la cui origine rimonta al “ nouveau roman ”. D'altro canto, è stata l'attenzione rivolta alle peculiari tecniche narrative del genere poliziesco che ha permesso lo svecchiamento delle sue strutture romanzesche e la parziale legittimazione di questa “letteratura da stazione ferroviaria”, come a lungo la si è chiamata.

Da quando la critica letteraria ha preso ad occuparsi dei romanzi polizieschi si è avuta la constatazione che essi si articolano su due storie parallele: quella del delitto e quella dell'indagine. L'enigma, su cui si fonda il romanzo, le mantiene separate fin quando non si arriva alla conclusione. Alcuni romanzi pongono l'accento sul delitto, altri sull'indagine, dando pertanto luogo ad una suddivisione del genere che non smentisce così la sua doppia origine, popolare e intellettuale. Sia nell'un caso che nell'altro il polar sospinge il lettore dentro un testo a trabocchetti – ciò che Jacques Dubois chiama «un gioco a nascondino» (10) – che lo costringe a interpretare gli indizi che gli vengono forniti. E' in tal modo che il romanzo poliziesco manifesta la propria caratteristica fondamentale: l'aspetto ludico.

5. L'oggetto narrante

Etats de lame si presenta di fatto come una forma sperimentale di romanzo noir che si riallaccia al romanzo d'enigma, non senza rivendicare un proprio diritto a far parte della letteratura. Il titolo stesso suggerisce a prima vista, con un gioco di parole, ciò che porterà avanti il racconto: gli stati d'animo del narratore. La stranezza è che questo narratore sia la lama stessa, personificata fin nella sua intimità. Riuscirà ad apparire come una variante dell'“eterno femminino”, di quel tema che il polar sembra non smetter mai di sviluppare? In realtà la lama non ha alcuna autonomia di azione; al lettore è dato condividere soltanto i suoi sentimenti e le sensazioni che la travagliano. Nel suo monologo interiore c'è qualcosa che richiama i primi interventi delle donne in letteratura, tutti volti a denunziare la loro condizione di succubi. I romanzi di Pascale Fonteneau, in effetti, ruotano sempre intorno ad una figura femminile che funge da trait d'union fra due diversi gruppi di personaggi, in una tematizzazione delle reazioni umane di fronte alle situazioni con cui si è costretti a confrontarsi.

Oltre a ciò il testo passa in rassegna un gran numero di lame, insistendo sulla differenza fra le lame d'uso corrente e quelle che rappresentano delle armi da combattimento. Fra queste ultime, la nobiltà attribuita alle armi bianche le distingue dalle armi da fuoco, viste come qualcosa di rango inferiore. Lungo tutto il testo il narratore (vale a dire la lama) insisterà sul proprio desiderio di pervenire ad una condizione sociale più elevata e su quanto sarebbe grave per lei un insuccesso. L'oggetto materiale viene così radicato in una dimensione sociale e ciò rende più facile al lettore l'accettazione della sua umanizzazione.

La lama, utilizzata per uccidere, prova delle emozioni al contatto delle mani che l'impugnano e s'interroga su chi siano quelli che si servono di lei. L'accumularsi degli omicidi, a cui essa partecipa, viene descritto con una ricchezza di particolari che danno all'arma la consapevolezza di aver fatto un buon lavoro, degno di una certo riguardo. Soltanto l'aggettivo «rozzo», attribuito dalla lama stessa all'uomo che la usa e col quale essa si sente in perfetta armonia, potrebbe far nascere qualche dubbio sulla sua reale condizione. Ma non è forse un «uomo di buon gusto» il suo vero proprietario? E non è forse in un astuccio foderato di velluto che la si porta in giro? E' anche vero che essa agogna ad un cuscino di seta e non smette mai di chiedersi quale sia la sua verà identità. La sua ricerca degli indizi sarà condotta come un'indagine su se stessa. A questo punto, l'oggetto narrante, testimone delle peripezie di cui si legge oltre che complice dei delitti, risulta anche totalmente coinvolto nel racconto d'enigma che arricchisce il racconro d'azione.

Questa doppia struttura del racconto, sebbene implicita sin dall'inizio, si manifesta chiaramente soltanto dopo lo scioglimento del gruppo rivoluzionario, allorché l'uomo “rozzo” comprende che l'uomo “di buon gusto” s'è preso gioco di lui. La lama, impiegata in un piano collettivo di rivolta sociale, torna al proprio ruolo di oggetto d'uso privato e viene quindi esclusa dalla storia. Il racconto d'avventure e di omicidi cede il posto ad una ricerca della propria identità, un tema prediletto nelle trame da romanzo. La lama passa di mano in mano a tre personaggi maschili, denominati unicamente in base alla sensazione che comunicano all'oggetto narrante: l'uomo rozzo, l'uomo di gusto, l'uomo ansioso. La loro comparsa non coincide con l'ordine cronologico del racconto. La lama è appartenuta all'uomo ansioso prima d'essere usata dall'uomo rozzo, al quale è stata consegnata dall'uomo di gusto. La descrizione del primo contatto della lama con la mano dell'uomo rozzo corrisponde alla tipica scena del primo incontro sentimentale fra i protagonisti d'un romanzo; e i dettagli della penetrazione nelle carni delle vittime sono equiparabili alla raffigurazione d'un rapporto sessuale. All'origine del successo commerciale di un gran numero di polar non c'è forse il tema del piacere carnale? E' evidente come gli ingredienti del genere vengano qui completamente sviati dal loro significato originario.

D'altronde la visuale concessa alla lama è ridotta, visto che spesso essa si trova confinata in una guaina di cuoio, gettata in un cassetto o nascosta sotto una camicia. Non le sfuggono però né i suoni né le sensazioni tattili. I legami che l'accomunano all'uomo rozzo fanno pensare ad un'intesa di tipo fisico, ma le richiamano anche alla mente l'uomo ansioso che l'aveva posseduta precedentemente. Gli elementi del racconto si svelano al lettore soltanto attraverso lo “sguardo” del narratore. E' così che la storia delle azioni delittuose, ripercorse nei loro dettagli, viene a mascherare l'altra storia, quella della ricerca di un'identità. In effetti, mossa dalla volontà di ricostruire il proprio passato, la lama fa appello ai suoi ricordi e li dissemina di indizi, ai quali sembra che sia il lettore a dover dare un senso. Questa riflessione su se stessa rafforza il discorso sulle differenze di stato sociale. Col suo desiderio di pervenire alla condizione di “arma nobile” la lama mette a nudo il proprio obiettivo di ascesa sociale che si concluderà con un clamoroso fallimento: essa diventerà un oggetto di scarto, qualcosa di più infimo dei coltelli d'uso comune, da lei sempre profondamente disprezzati.

La lama dunque riassume in sé la combinazione completa dei ruoli possibili per i personaggi di un romanzo poliziesco, come li ha evidenziati Jacques Dubois (11). Essa è nello stesso tempo testimone, colpevole, investigatrice e, da ultimo, vittima. La risoluzione dell'enigma, infatti, destinerà la lama all'inattività. Corpo del reato per un processo che non si svolgerà mai, essa tornerà l'oggetto senza storia che era all'inizio del racconto.

Al lettore resta comunque da decifrare la sigla con cui la banda responsabile degli attentati e guidata dall'uomo rozzo firma le proprie imprese: P. R., due lettere il cui significato non viene svelato subito. Queste due lettere, che sono anche la prima e l'ultima della parola PolaR , potrebbero altresì sembrare l'inversione di R. P., il rovesciamento, cioè, delle aspettative del Romanzo Poliziesco. Di fatto la banda riesce a organizzare l'assassinio del capo della magistratura del Paese, ma, al suo posto, viene ucciso un usciere del palazzo di giustizia. L'uomo rozzo comprende allora che la banda è stata manovrata dall'uomo di gusto, un giudice che ha organizzato la propria eliminazione. La sua vendetta comporterà l'interruzione del racconto. Ma il giudice avrà ancora il tempo di render nota la chiave di lettura della sigla: P. R. significa “Pour Rien”, svelando così l'infondatezza dell'enigma poliziesco.

Occorreva dunque una mano femminile per rovesciare a tal punto le regole del polar , mettendo a nudo la sua natura di fiction , cioè di storia “fatta di nulla”, come avevano già annunziato i romanzieri della grande epoca realista! (12).

©Josette Gousseau

NOTE

(1) Intervista con Dominique Parizel, in “MAG”, 26, agosto-settembre 1998.
(2) Cit. da Boileau-Narcejac, Le roman policier , P.U.F., Paris 1975, p. 85.
(3) Marc Lits, Le roman policier: introduction à la théorie et à l'histoire d'un genre littéraire, Ed. du Cefal, Liège     1993, p. 60
(4) Ibidem , p. 63.
(5) Intervista in “Charlie mensuel”, n. 126, luglio 1979, p. 14.
(6) Jacques Dubois, che considera il romanzo poliziesco uno dei pochissimi generi letterari inventati dalla      modernità, colloca la sua origine all'intersezione fra il romanzo popolare e il romanzo realista. Cfr. Jacques      Dubois, Le roman policier ou la modernité , Nathan, Paris 1992.
(7) « Debout les damnés de la terre, Debout les forçats de la faim ». Il testo fu musicato nel 1871 da Pierre      Degeyter.
(8) Tali citazioni sono desunte da Ce que tout révolutionnaire doit savoir de la répression , opera scritta da Victor      Serge e riedita a Parigi da Maspero nel 1977.
(9) Successivamente la casa editrice Baleine è stata rilevata da Le Seuil, ma la politica editoriale dei polar non è      sostanzialmente cambiata, proseguendo l'esperienza di opere scritte da un collettivo di autori.
(10) Jacques Dubois, op. cit ., p. 80.
(11) Ibidem , pp. 87-104.
(12) Cfr. S. Thorel-Cailleteau, La tentation du livre sur rien. Naturalisme et Décadence , Editions       Interuniversitaires, Mont-de-Marsan 1994.

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