FRANCO ENNA
di Salvatore Ferlita

C'è una sorta di fossa comune, nel vastissimo territorio della letteratura, in cui vanno a finire i nomi di alcuni autori, per i quali il destino non è stato certo clemente. Rimangono sepolti per anni, forse in attesa che qualcuno, animato da buona volontà, li riporti alla luce. E quando questo accade, spesso ci si trova di fronte a veri e propri universi inesplorati: una produzione vasta e variegata, un lungo e costante successo di pubblico a un certo punto però inspiegabilmente scemato.

Il fatto è che sovente, come scriveva Leonardo Sciascia a proposito di Maria Messina, ci si mette la «dimenticanza», che dilaga come «edera rampicante a coprire certe aree e certi nomi della nostra storia civile e letteraria».

Ecco pressappoco quello che è successo allo scrittore Franco Cannarozzo: a quanti il nome dice qualcosa? Eppure, questo prolifico scrittore della Sicilia orientale, nato nel 1921 nella stessa terra di un altro dimenticato, Nino Savarese, e figlio di un maresciallo dei carabinieri, è stato un famosissimo autore di gialli, drammaturgo, poeta e apprezzato scrittore di racconti di fantascienza, ospitati nella rivista specializzata “Urania”.

«Intanto era arrivato un giovane della mia stessa età (io ero ventenne), magro, occhialuto, un paio di ipotetici baffetti, che si appoggiò allato a me. Sentii il rumore di un aereo che si avvicinava, sollevai lo sguardo, non vidi niente. L'occhialuto allora mi toccò sulla spalla, mi fece cenno di taliàre sotto. E infatti l'aereo, piccolo, stava volando basso e io perciò lo vedevo dal di sopra.
“Ma a quanto siamo?” spiai sbalordito.
“A mille metri. Enna è il capoluogo più alto d'Italia”. Poi si presentò. Si chiamava Francesco Cannarozzo.
“Che fai?”
“L'impiegato”, rispose. “Ma diventerò uno scrittore”.
“Anch'io”, dissi, ma con minore convinzione. La nostra amicizia fu istantanea. Con lo pseudonimo di Franco Enna sarebbe diventato un noto autore di gialli e di fantascienza, ma quel giorno, e nei giorni appresso, fu la mia guida per conoscere la città e per fare nuove amicizie».

È Andrea Camilleri, grande estimatore del giallista Enna ma anche dell'autore di racconti fantascientifici, a raccontare su “Travel” del novembre 2000 questo inaspettato incontro, avvenuto a Enna, dove lo scrittore empedoclino si trovava con la famiglia, in seguito al trasferimento del padre.

Ma probabilmente ai più il cognome Cannarozzo non suggerisce nulla, visto che il nostro autore era solito firmarsi con lo pseudonimo di Franco Enna. Ed è Cannarozzo in persona, nel corso di un'intervista pubblicata su “Il Messaggero” del 25 ottobre 1975, a spiegare la genesi del falso cognome, raccontando come il suo esordio da giallista fosse stato legato nel 1955 quasi per caso alle sollecitazioni dell'amico Alberto Tedeschi, vero esperto del genere e già allora direttore della collana dei “Gialli Mondadori”, impegnato nello sforzo di tentare in quegli stessi anni un rilancio del thriller italiano.

Proprio Tedeschi chiederà a Franco Cannarozzo di scrivere dei «raccontini-quiz» a sfondo poliziesco per una rivista che dirigeva: «Non stare a preoccuparti perché non ti sputtani», lo rassicura l'amico, «scrivendo raccontini-quiz pagati sei mila lire l'uno. Sei nato a Enna, puoi firmarti Franco Enna» .

Anche se in verità non si trattava dell'unico pseudonimo usato, perché lo scrittore siciliano si sarebbe celato dietro a nomi quali Lou Happings, Andrew Maxwell, James Douglas, Thomas Freed, Richard Shell, Lewis Allen Scott, Herry Graham, Max Reditone, Carlton Gibbs, e la lista potrebbe continuare ancora a lungo.

Eppure, prima dell'incontro con Tedeschi, Cannarozzo aveva già pubblicato in Svizzera una raccolta di poesie intitolata Il mare aspetta le mie strade , il libro di racconti L'angelo nell'aia e il romanzo L'inferno confina con Dio , poi rimasto in ballottaggio per il premio Viareggio.

Preludio alla tomba (Milano, Mondadori, 1955) segna l'uscita in pubblico di Franco Enna che, lavorando anche come direttore dell'ufficio stampa dei periodici Mondadori, pubblicherà soprattutto tra gli anni Cinquanta e Sessanta un numero davvero cospicuo di gialli, arrivando addirittura a sfornare un romanzo ogni quindici giorni per due anni di seguito, tanto da scrivere complessivamente quasi centocinquanta opere. All'attività di giallista e di autore di racconti di fantascienza e di romanzi per ragazzi, Enna affianca anche quella di giornalista, traduttore, soggettista e sceneggiatore televisivo, lavorando a diverse trasposizioni cinematografiche di alcuni suoi romanzi, a radiodrammi e a sceneggiati televisivi di argomento poliziesco (creando tra l'altro la figura del delegato di polizia Bianchi) trasmessi dalla rai e dalla tsi in Svizzera, dove nel 1948 Cannarozzo si era trasferito, e precisamente a Lugano, dopo essere stato in servizio presso il tribunale militare di Bari e alla prefettura di Enna. Nel 1959 rientra in Italia, ma dopo quattro anni torna in Svizzera, morendovi il 9 luglio del 1990.

A questo punto è d'obbligo un'osservazione: già prima di Andrea Camilleri, Santo Piazzese, Domenico Cacopardo, Piergiorgio Di Cara tanto per citarne alcuni, uno scrittore siciliano si era servito dello schema del giallo per dare forma alle sue opere e per far conoscere la sua concezione del mondo (non è il caso di citare Sciascia, le cui opere presentano una struttura così aperta da rientrare difficilmente nel genere chiuso del giallo). A questo va aggiunto che l'autore in questione, in diversi suoi romanzi, opta per l'ambientazione siciliana quasi mai scenografica o edulcorata, ma riprodotta ora con l'intento di svelarne, attraverso una particolare vicenda, la vera natura e mettere a nudo le piaghe che da tempo l'avviliscono, ora come unico scenario possibile per le passioni e gli intrighi delle storie narrate; come accade, per esempio, ne Il volto delle favole (1963), in cui il protagonista, Alberto, dopo vent'anni di assenza ritorna nella sua città natale, Palermo, per indagare sulla misteriosa scomparsa del fratello. Se poi si pensa che uno degli eroi più famosi da lui creati è il commissario Federico Sartori, un siciliano affetto da inguaribile nostalgia che non si sottrae mai all'avventura e all'amore e attorno al quale Enna ha creato un fortunato ciclo romanzesco, allora sarà chiaro come occorra riscrivere la storia e soprattutto la geografia del giallo siciliano. Probabilmente, se il nome di questo autore non è ancora del tutto svanito, è anche per merito di Gisella Padovani, attenta studiosa della produzione variegata di Cannarozzo, sulla quale ha pubblicato diversi saggi.

Certo, pur non difettando né la capacità inventiva di Franco Enna, né la sapienza del racconto, va però detto che lo scrittore siciliano in un certo senso sottostimava le qualità della scrittura; a lui non interessava tanto la ricerca della scrittura come espressione di ciò che raccontava. Gli interessava la scrittura nella misura in cui bastasse a raccontare lo splendido fatto che gli era venuto in mente. E questo, sicuramente, lo ha danneggiato molto.

Peccato comunque che i romanzi di Enna non si trovino con facilità sul mercato. Qualcosa è rimasto nei depositi di alcune librerie di Lugano, ma non è certo facile recuperare le sue numerosissime pubblicazioni. La casa editrice Sellerio ha da poco ripubblicato uno dei suoi più bei romanzi, L'occhio lungo , il cui protagonista è proprio il commissario Sartori, Fefè per la moglie e le amiche, il quale si misura con una serie di delitti e di flirt sentimentali, spostandosi tra Milano, Pavia e le città dei laghi verso la Svizzera.

Ma perché, viene da chiedersi, le opere di Enna sono state fagocitate dall'oblio? A un certo punto, è come se qualcuno con un colpo di spugna avesse cancellato il suo nome.

Certo, non basterà un romanzo riproposto per rimettere le cose a posto e tacitare i rimorsi di coscienza di critici distratti, anche perché sulla mancata fortuna di Enna pesa come un macigno la diffidenza nei confronti della narrativa poliziesca che da sempre ha caratterizzato in Italia l'approccio a opere ingiustamente classificate come prodotti di serie b .

A nulla serve ricordare i giudizi positivi espressi da critici raffinati o inaspettati cultori del genere incriminato: non appena si comincia a parlare di detective-story c'è sempre qualcuno che si tappa il naso o scrolla le spalle. Ma il caso emblematico di Enna sta a dimostrare che, pur mettendo su l'impalcatura del giallo, si può dar forma a un'opera pregevole, senza per questo restare ingabbiati in schemi rigidi e soffocanti.

Addirittura, nei libri di Enna, soprattutto quelli costruiti sui dettami del genere poliziesco, avviene quasi sempre felicemente e in armonia con il tutto una contaminazione di generi, una sorta di ibridazione voluta, che mescida gli elementi propri del genere “rosa”, come ha individuato Gisella Padovani, con quelli relativi al genere fantascientifico o ancora con gli ingredienti tipici del romanzo di costume, di introspezione o d'avventura.

In questo senso Enna ha ampiamente riscattato la letteratura thrilling italiana da quegli elementi di debolezza che fin dal suo sorgere, negli anni Trenta, avevano compromesso il successo dei nostri autori. Ossia la tendenza del giallo italiano a essere avventuroso, picaresco per certi tratti, e a far sue le sfumature dei romanzi di appendice o di quelli di denuncia sociale: anzi, di questi fattori di fragilità, Enna fa il punto di forza delle sue opere più riuscite, dando prova di una notevole professionalità artigianale e riuscendo a tracciare con precisione ritratti di protagonisti «sempre di carne, di sangue», con «un cervello e una mentalità» tutta loro, come notava Tedeschi nella prefazione a La grande paura (Milano, Sonzogno, 1977), e perennemente in bilico tra il bene e il male; e riuscendo anche a far tracimare dalle sue pagine la personalità forte e determinata di certe figure femminili davvero indimenticabili.

Lo schema del giallo, quindi, come impostazione di fondo, come una sorta di scenario aprioristico, nel quale possono muoversi liberamente investigatori istituzionali, ma anche detective per caso, e dove le grandi passioni, i sentimenti forti muovono i destini degli uomini. «Dove c'è l'uomo, affermava infatti Cannarozzo, c'è una problematica che va risolta. E, a ben guardare, ogni romanzo contiene sempre un intreccio giallo, anche se il colpevole può essere la vita, può essere Dio, può essere chiunque. In questo senso anche Shakespeare, anche Dostoevskij sono scrittori di gialli».

Tutto ciò è rintracciabile nei romanzi con al centro la figura del commissario Sartori, da Il caso di Marina Solaris a La bambola di gomma , da Un poliziotto in vendita fino a L'occhio lungo , l'ultimo della serie, in cui Enna riesce a liberarsi del suo personaggio facendolo morire in una sparatoria. Oppure nelle avventure del maresciallo Lo Cascio il quale, a differenza di Sartori che indaga negli ambienti metropolitani, si muove in un ambito provinciale, e precisamente nel piccolo paese di Mazzara del Vallo. Per non parlare di gran parte della sua produzione non rigorosamente riconducibile al genere poliziesco.

La riscoperta di Franco Enna, come dire, cade a fagiolo: basti tenere presente la vitalità che in questi ultimi anni ha caratterizzato la produzione giallistica nel nostro paese. Il poliziesco made in Italy , infatti, va a gonfie vele, e non bisogna subito pensare ad Andrea Camilleri, perché da Lucarelli a Carlotto, da Pinketts a Fois, da Cacopardo a Macchiavelli, «i delitti di carta», per usare un'espressione di Luca Crovi, da qualche anno a questa parte appassionano migliaia di lettori. Ed è sulla scia di questo successo editoriale che alcuni addetti ai lavori si sono interrogati, per scoprire quale recondita motivazione stia alla base di tale fenomeno. Attribuire il trionfo del noir , della detective story , dell' hard-boiled solamente al fatto che si tratta di letture d'evasione, che richiedono un minimo di applicazione e che distraggono dalle rogne quotidiane, sarebbe troppo semplicistico e ingenuo. C'è infatti chi, da qualche tempo, è convinto che la letteratura poliziesca offra l'opportunità di raccontare i cambiamenti della nostra società, di rispecchiare la vera natura del territorio in cui i fatti delittuosi si consumano. Come ha affermato Carlo Lucarelli, oggi, attraverso il noir o il poliziesco, si riesce a tracciare una «mappa dell'Italia che cambia»: infatti quasi tutti i romanzi degli ultimi tempi offrono specifiche e veritiere coordinate spaziali e temporali, alle quali i narratori rimangono abbarbicati. Anche se le cose non sempre stanno così: lo ha già scritto Luigi Bernardi che da qualche tempo a questa parte il poliziesco e il noir cercano di introdurre ordine nel caos. A fronte dell'insensatezza, dell'impazzimento che oggi dominano incontrastati, e che stanno alla base di delitti senza movente, lo scrittore di noir, raccontando le gesta dell'ennesimo serial killer, non fa altro che rassicurare il lettore, sussurrandogli all'orecchio una soluzione meno inquietante. Perché se a uccidere è sempre la stessa persona, spinta da nevrosi e ossessioni ataviche, ci si sente un po' più al sicuro.

Oggi le cose sono cambiate, ma resta il fatto che nei gialli e soprattutto nei noir pubblicati in questi ultimi anni le vere protagoniste delle vicende narrate sono sovente le città: Milano, nelle storie immaginifiche e parossistiche di Andrea Pinketts, Bologna nelle pagine di Lucarelli. Per non parlare della Sardegna di Marcello Fois, della Sicilia di Andrea Camilleri e Santo Piazzese.

In questo senso, il romanzo giallo sembra sempre più prendere il posto di quella che un tempo era l'indagine sociologica, dal momento che non ci si trova solamente di fronte a un delitto e al tentativo, attraverso l'indagine più o meno ortodossa, di scoprire chi l'ha commesso e di ripristinare l'ordine; perché quello che più affascina, nelle opere migliori, è quello che si dice il contesto , che gli autori dimostrano di conoscere ineccepibilmente: un contesto ricostruito spesso con vera abilità. Ecco quello che meglio funziona nei gialli di casa nostra: l'ambientazione, l'atmosfera, l'aria che si respira nelle nostre metropoli. Come avviene nei romanzi di Izzo, attraverso i quali è possibile immergersi nelle tipiche atmosfere marsigliesi, o ancora in quelli di Glauser, ambientati in Svizzera e di Leo Malet, con le sue brume parigine, o nei polizieschi di Alicia Giménez-Bartlett, che si svolgono in una modernissima Barcellona.

A questo punto non si può non tornare a Franco Enna, alla sua capacità di indagare la psicologia dei personaggi, che fa pensare un po' a Simenon, e di riprodurre il milieu sociale in cui essi si muovono, le atmosfere che li circondano. Basta leggere i suoi romanzi più riusciti, per farsi un'idea dell'Italia degli anni Sessanta e Settanta, quando i serial killer si contavano sulla punta delle dita, mentre abbondavano manigoldi pronti a muoversi «sul lato mancino della vita», per dirla con Sergio Pent. Quando la nostra penisola cominciava a essere devastata dalla speculazione edilizia e quando la corruzione politica cominciava a provocare i primi grandi guasti.

Chissà, forse è arrivato finalmente il momento di rivalutare il giallo, vituperato genere letterario, grazie al quale si può meglio comprendere ciò che accade attorno a noi, il cambiamento dei modelli criminali, le nuove paure che alimentano gli incubi del ventunesimo secolo. E l'occasione ci viene offerta proprio da uno dei più bei romanzi di Enna, L'occhio lungo , nel quale l'autore conferma pienamente le sue qualità: realismo dell'impianto, ambientazione provinciale, ritmo veloce, serrato, una lingua dal taglio modernissimo. Al centro della storia narrata troviamo il commissario Sartori, che presenta non pochi tratti in comune con il suo creatore; ma si tratta di un autobiografismo che conferisce al personaggio credibilità e simpatia, facendone un poliziotto in carne e ossa, sensibile al fascino delle donne, nostalgico e romantico, con moglie e figli a carico, ai quali sovente va il suo pensiero. Colpisce l'abilità di Enna nel ritrarre personaggi, nel ricreare le atmosfere grigie e crepuscolari delle nostre province, nel ricostruire e reinventare fatti di cronaca, nel saper sfumare nel noir una storia che ci riporta ai fatidici anni Settanta, funestati da attentati e sequestri. Ben tornato, dunque, Franco Cannarozzo, Scerbanenco siciliano con un tocco di romanticismo in più.

© Salvatore Ferlita

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