GLI SCANDALOSI ANNI CINQUANTA (II) - MICKEY SPILLANE
di Mario Rubino


«Mi trovavo per la strada circa all'una e trentatrè, / L'altra notte mentre uscivo dal mio solito caffè, / Quando incontro un bel mammifero modello “centotrè” / ( fischio ) Che bambola!». E' l'inizio del testo di una celebre canzone che Leo Chiosso scrisse nel 1956 per l'inconfondibile raucedine vocale di Fred Buscaglione, il cantante dal “whisky facile”. Ma potrebbe essere anche l'inizio di uno dei molti romanzi di Mickey Spillane, che prendono spesso l'avvio di notte, in un qualche bar «puzzolente», dove – tanto per far subito capire che, oltre ai prevedibili morti ammazzati, ci sarà anche una buona dose di sesso –, nell'«aria che sa di birra stantia», non manca mai un mammifero modello “centotrè” che cerca di adescare Mike Hammer, l'arcidotato protagonista ed io narrante dell'opera (1).

Da noi Spillane era arrivato in libreria nel 1953. Il suo I, the Jury (1947), col titolo italiano Ti ucciderò , era stato il secondo numero (dopo Il rovescio della medaglia di Ellery Queen) della nuova collana “Serie Gialla” della Garzanti, che negli anni successivi – con le omertose tre scimmiette gialle sul fondo nero della rilegatura telata – avrebbe rappresentato l'unica alternativa, finalmente ben riuscita, ai tradizionali “Gialli” Mondadori. Il secondo risvolto della sovraccoperta di Ti ucciderò esibiva in alto, al disopra di una breve nota biografica, il dettaglio di una foto di Spillane che ne mostrava il possente busto inguainato in una candida t-shirt , dalla cui ridottissima manica erompeva, anziché un normale omero, un mastodontico ammasso di bi- e tricipiti. La testa era evidentemente molto maschia e brevemente coronata da una rigorosa chioma a spazzola. (E' interessante notare come gli altri romanzi spillaniani che seguirono nella stessa collana riportassero invece la foto per intero. Adesso quel po' po' di braccio si vedeva tutto quanto, fino alla mano, che impugnava un revolver dalla canna spropositatamente lunga e sporgente appena al disotto della cintura. In fatto di allusioni non si andava certo per il sottile.)


In un paio d'anni la “Serie Gialla” Garzanti sfornò ben sei romanzi di Spillane (2), tanto che, malgrado essi fossero alternati ad opere di autori di tutto rispetto come Queen, Ambler, Gardner o Latimer, la collana delle tre scimmiette venne ben presto associata – nell'immaginario collettivo e specialmente in quello adolescenziale – alle imprese di Mike Hammer, il protagonista romanzesco alter ego di Mickey Spillane.

Com'era già successo negli Usa – «13.000.000 di copie vendute in America», strillava il “soffietto” dell'edizione italiana del '53 – Spillane infatti, col suo nuovo tipo di detective, si conquistò subito anche da noi una discreta quota di lettori fra gli appassionati del genere poliziesco, ai quali si assommavano tutti quelli – e non eran pochi – che lo compravano e leggevano non per scoprire “chi-era-l'assassino”, ma per andare su di giri ai ricorrenti incontri ravvicinati di Hammer con quelle che il già citato risvolto di copertina del ‘53, con ammiccante pudicizia, definiva «donne di “piccola virtù”» (3).

Si sa che il romanzo poliziesco realistico di stampo americano, col suo cosiddetto stile hard-boiled , a partire dagli anni Trenta aveva fatto piazza pulita dei sofisticati cerebralismi di Philo Vance e delle sottigliezze analitiche di Ellery Queen, del calarsi nell'atmosfera di Jules Maigret e delle cellulette grigie di Hercule Poirot. I nuovi eroi di Hammett, di Chandler o di Cheyney non suonavano il violino come Sherlock Holmes, né davano retta ai pettegolezzi del villaggio come Miss Marple, né si gingillavano con le orchidee come Nero Wolfe. Continental Op e Sam Spade, Philip Marlowe, Lemmie Caution e Slim Callaghan, all'occorrenza ma quasi esclusivamente per legittima difesa, picchiavano duro e sapevano anche incassare fino a rimanerne tramortiti, magari dopo aver sostenuto degli scontri a fuoco, che in Hammett, ad esempio, certe volte vanno avanti per pagine intere.

Negli hard-boiled prima di Spillane, non ostante il piglio dichiaratamente realistico e l'ambientazione in contesti sociali non proprio puritani, persisteva ancora tuttavia una sorta di renitenza a contaminare il genere poliziesco con ingredienti presi a prestito dalla letteratura “erotica” o semplicemente porno. Fra l'altro – quasi per eccesso di realismo – ad alcuni dei detective della nuova moda all'americana mancava davvero le physique du rôle dello sciupafemmine: Continental Op si autodescrive come «basso e grassoccio » (4); e Slim Callaghan, anche lui tutt'altro che un Adone, superava di poco il metro e mezzo di statura (5). Ci sarebbe stato, è vero, Sam Spade, «alto uno e ottanta abbondante (6) », che, da «satana biondo, quasi attraente (7) », ha una relazione con la moglie del suo socio Miles Archer e, di tanto in tanto, palpeggia, più che altro per abitudine, la segretaria Effie Perine; ma il modo in cui si comporta con la perfida Brigid O'Shaughnessy, lasciandosi abbindolare, innamorandosene, per infine «giudicarsi un pirla (8) » e denunziarla alla polizia, è quasi da gentiluomo vecchio stampo. Anche Philip Marlowe era «alto» e «bello (9) » – a detta della labile e viziosetta Carmen Sternwood –, ma anche lui, come Spade, nei suoi slanci verso l'altro sesso (che, comunque, non vanno mai oltre il contatto labiale, seppur ben descritto (10)) ha delle gentilezze romantiche da adolescente, tanto da meritarsi i complimenti dell'esperta Vivian Sternwood (11). E persino quello che passava per il più “libertino” di tutti, l'agente federale Lemmy Caution, parlando compiaciuto delle sue avventure sentimentali, si limita a costellarle di enfatici punti esclamativi, affidando i dettagli all'immaginazione del lettore (12).

Questo tabù del sesso il lettore italiano, agli inizi degli anni Cinquanta, se lo trovò invece vistosamente infranto nei romanzi che avevano come protagonista Mike Hammer, e fu sùbito scandalo e quindi impennata delle vendite. Spillane veniva a collocarsi nell'alveo della recente tradizione hard-boiled , ma non aveva né l'impegno sociale del criptocomunista Hammett ( Piombo e sangue , 1929, e La chiave di vetro , 1930), né l'elegante letterarietà di Chandler, né l'umorismo e l'autoironia molto british di Cheyney. Oltre alle frequenti scazzottature e sparatorie, ciò che soprattutto accomunava Spillane ai suoi predecessori hard-boiled era – per usare la formulazione di Chandler (13) – la prevalenza dell'«episodio» sulla «trama». Già in Hammett – soprattutto in quello dei racconti –, in Chandler e specialmente nel Cheyney di Lemmy Caution la rituale detection conclusiva lasciava non poco insoddisfatto e deluso il lettore abituato a confrontarsi con le labirintiche tortuosità di una Christie, di un Queen o di un Wolfe, e a cimentarsi con i loro complicatissimi meccanismi narrativi, che però, alla fine, si lasciavano smontare e rimontare con perfetta coerenza e verosimiglianza. Spillane però, anche in questo privilegio accordato alle singole «scene», a scapito di un minimo di congruenza dell'«intreccio» complessivo, come al solito esagerava. Se le si misura sui parametri canonici del genere poliziesco, le sue trame fanno acqua da tutte le parti: qualsiasi lettore, anche il più ingenuo e distratto, ha già intuìto chi possa essere l'“assassino” entro la prima metà del libro; quanto poi ai moventi, essi sono davvero misteriosi e imperscrutabili, proprio perché spesso dipendono da fattori del tutto accidentali o improbabili (14), che neanche nei più raffazzonati romanzi di un Wallace o di un Varaldo. L'impianto della detective story c'è tutto, ma si direbbe che a Spillane tornasse comodo unicamente per assemblare una serie di tableaux all'insegna della violenza di ogni genere.

Una costante assai frequente del romanzo poliziesco tradizionale – dai tempi di Sherlock Holmes – è stata sempre la contrapposizione detective privato versus rappresentanti dell'ordine costituito. E la si ritrovava anche in Spillane, ma con una significativa variante. Il capitano della Squadra Omicidi di New York, Pat Chambers, non è il solito poliziotto imbranato e ottuso che non ne azzecca una. Chambers è amico di vecchia data di Hammer (15); i due lavorano spesso insieme, benché si trovino – come vuole la tradizione – in una sorta di concorrenza. E' una concorrenza però in cui Chambers parte svantaggiato non da una sua carenza di intuito investigativo, bensì proprio dal suo ruolo istituzionale, che non gli consente di usare i metodi decisi, sbrigativi e violenti di Hammer, il quale riassume così la loro disparità: «Tu sei un agente, Pat. Sei tenuto ad osservare norme e regole precise. C'è qualcuno sopra di te. Io sono solo. Posso prendere chi voglio a calci nel ventre senza la minima conseguenza. Nessuno può farmi perdere il posto (16) ». Il ruolo del funzionario presuntuosamente inetto e vanesio passa invece, di volta in volta, ai vari giudici distrettuali, che non perdono mai l'occasione di privare Hammer della sua licenza e del suo porto d'armi (17), salvo poi a doverglieli restituire a furor di opinione pubblica dopo la brillante conclusione delle indagini. Sul fronte delle indagini si crea dunque un triangolo: investigatore privato / poliziotto regolare / magistratura, nel quale la vera contrapposizione è fra investigatore e magistratura. Nei confronti di quest'ultima – così come di tutto l'ingranaggio giuridico-legale della giustizia ordinaria – il detective Hammer nutre un disprezzo tanto profondo da farlo sbottare, programmaticamente già alle prime pagine del primo libro, in questi termini: «E, per Dio, non lascerò che l'assassino passi attraverso la noiosissima trafila della legge. Sai benissimo come succede, maledizione! Prendono il miglior avvocato che ci sia in circolazione, cambiano le carte in tavola ed alla fine poco ci manca che l'assassino diventi un eroe. [...] No, accidenti! Una giuria è e deve essere fredda ed imparziale, e c'è sempre il furbo avvocato che riesce a farla piangere dimostrando che l'imputato non era in sé quando ha premuto il grilletto, o che ha dovuto sparare per legittima difesa. Benissimo. La legge è una bellissima cosa. Ma questa volta la legge sono io, e non intendo certo essere freddo ed imparziale (18) ».

Profondamente convinto com'è di queste sue ragioni, Hammer si sente autorizzato non soltanto a svolgere le indagini con i suoi particolari metodi, ma, una volta individuato – come al solito con qualche anticipo sulla polizia – il colpevole, si ritiene anche legittimato ad emettere la sentenza e, subito dopo, ad eseguire la pena, che ovviamente è quella capitale. Non a caso il titolo originale del primo romanzo di Spillane era I, the Jury . E, in un altro romanzo, Hammer espone così, ad un'ammiratrice che gli ha chiesto se continuerà ad uccidere, i suoi procedimenti di giustizia sommaria: «Scoprii i denti in un sogghigno. “Sì, Lola, e ucciderò ancora. Ho la rivoltella facile, io, e gli assassini mi odiano, ma, anche se sono un agente privato, so sempre cavarmela molto meglio di loro. So portare i bastardi fino al punto di costringerli a entrare in azione, poi sparo per legittima difesa, e il tribunale è costretto ad assolvermi. I poliziotti non possono spingersi così oltre, ma in fondo non disprezzano il mio modo d'agire, non dimenticarlo” (19) ».

Come si può notare c'erano già, con un bel po' di anticipo, tutti i temi che sarebbero poi tornati in versione cinematografica nelle varie serie di polizieschi e “poliziotteschi” degli anni Settanta, a partire da Ispettore Callaghan: il caso Scorpio è tuo! (1971) di Don Siegel e da La polizia ringrazia (1972) di Stefano Vanzina.

Un ulteriore elemento nuovo nella figura di Mike Hammer rispetto ai detective hard-boiled che l'avevano preceduto era l'implicita natura di puro volontariato, quasi di missione, della sua attività investigativa; tanto che oggi lo si potrebbe definire un detective onlus, non a fini di lucro. Mentre di Sam Spade sappiamo che intasca, forfettariamente, 500 dollari da Miss Wonderly e 200 di anticipo da Joel Cairo per occuparsi del misterioso “uccello nero” (20), e mentre Philip Marlowe non perde occasione di ricordare che la sua paga è invece di «venticinque dollari al giorno, oltre le spese (21) », Hammer sembra non avere committenti e mettersi in azione animato soltanto da una sorta di ipertrofico “senso civico”, come spiega al capitano Chambers: «Ti dirò che sono stufo marcio di quello che succede in questa maledetta città. Io vivo in questa città, capisci, ed ho il diritto di tenerla pulita, anche se per questo sono costretto a far fuori qualche bastardo. C'è un mucchio di gente che merita di essere eliminata in malo modo, ed io mi sono scelto il compito di fare quello che voi non potete o non dovete fare (22) ».

Si direbbe allora che la sua unica ricompensa Hammer se la vada a cercare nella possibilità di «far fuori qualche bastardo» e di condurre in modo del tutto personale le indagini preliminari all'esecuzione, usando cioè una violenza fin lì ignota ai più hard-boiled dei polizieschi precedenti (23). Pensare di «tener pulita» una città come New York, d'altronde, non era certo impresa da poco. Ma Spillane/Hammer procedevano con metodo, per àmbiti del delinquere. Passando in rassegna i primi quattro romanzi, s'incontrava lo spaccio di droga ( Ti ucciderò ), lo sfruttamento delle call-girl ( Una ragazza e una pistola ), la creazione di pseudoagenzie pubblicitarie finalizzate al ricatto mediante foto compromettenti ( La vendetta è mia ), l'usura connessa alle scommesse e alle bische clandestine ( Il colpo gobbo ). A parte l'usura, eran tutte attività criminali ancora di là da venire nel nostro Paese, che aveva appena risolto con metodi ben collaudati dai tempi dei Borgia (tradimento e veleno) l' affaire Salvatore Giuliano e che, per il resto, non andava più in là del caso Montesi e di quello di Antonietta Longo, la “misteriosa decapitata di Castelgandolfo”. La droga era ancora roba da ricchi, e, come dichiara il dizionario Palazzi-Folena, il termine “ragazza squillo”, calco dell'inglese call-girl , è attestato in italiano soltanto dopo il 1954. Per i lettori nostrani tutto ciò rappresentava evidentemente un valore aggiunto di cui veniva a beneficiare il giustiziere solitario Mike Hammer: la capacità di farli evadere dal virtuoso orizzonte dell'Italia delle madonne piangenti e della canonizzazione di Maria Goretti, del vescovo di Prato e della “dama bianca” Giulia Occhini; sempre alle prese con la ricostruzione – il miracolo economico ancora di là da venire – era un'Italia in cui il “peccato” stava rintanato in fondo alle ben sorvegliate alcove delle “case chiuse” e in cui, senza bisogno di detective privati più che borderline , alla virtù dei singoli provvedeva la squadra del buoncostume e a quella delle masse, dal 1947, pensava la “celere” del ministro Mario Scelba.

E infine, come già si è accennato, nei romanzi di Spillane ad attirare un buon numero di lettori c'era la promessa di tanto tanto sesso. Era, è chiaro, il criterio di osé di quei tempi, e a loro bisogna riportarsi per apprezzare l'eccezionale valore documentario di un costume e di una mentalità che hanno le pagine spillaniane.

Mike Hammer, innanzi tutto, è la quintessenza concentrata di quel macho su cui, da lì a qualche decennio, si sarebbero abbattuti i fulmini e gli anatemi delle femministe di ogni razza e paese. Fra i capi d'accusa che, in qualità di one-man jury , enumera alla colpevole di Ti ucciderò poco prima di giustiziarla, c'è anche questo, assai illuminante sul modo di pensare di Spillane e dei suoi lettori: «Avevi perduto l'istinto sociale della donna, quello di dipendere da un uomo (24) ». Non stupisce, di conseguenza, che alle sue potenziali partner sessuali – come dire, tutte le donne sotto i quaranta, appena appetibili – Hammer si rivolga regolarmente con appellativi come «bimba», «piccola», «ragazza mia», «ragazzina» e persino «sciocchina» e «gallinella». La prima – e spesso l'unica – descrizione che dà di un personaggio femminile è esclusivamente fisica: «Dire bella era dire poco [...], l'abito che indossava, una vestaglia nera dalle maniche lunghe, non era certo fatto per mettere in evidenza le sue grazie, ma ciò che nascondeva appariva subito, anche allo sguardo più distratto, una vera meraviglia (25) »; «Era bella, niente da dire [...], se ne stava seduta con le gambe incrociate, senza preoccuparsi minimamente di quello che lasciava vedere per niente (26) »; «Ci sono le donne belle e ci sono quelle che, con il loro corpo, vi fanno dimenticare il loro viso: questa era splendida di viso ed aveva un corpo semplicemente formidabile (27) »; «Il mio angelo era in una poltrona vicino alla finestra [...], si alzò, stringendosi intorno al corpo una vestaglia di nylon [...], quando si voltò, reggendo in mano i due bicchieri, mi parve, se possibile, ancora più bella. I seni meraviglosi, sotto le spalle di una forma perfetta, si drizzavano sodi sotto la tela di ragno del nylon, quasi cercassero di abbattere quel lieve ostacolo (28)».

Va da sé che tanto entusiasmo per le procacità fisiche dell'altro esso non rimaneva allo stadio voyeristico, ma cercava, quanto prima di tradursi in qualcosa di più tangibile. Qui però vien fuori la componente documentaria delle scabrosità spillaniane, la loro vistosa datazione, il loro interesse antiquario. Così come le raffigurazioni degli abbigliamenti succinti, che “lasciano intuire tutto”, richiamano il sex appeal patinato delle pin-up girl da caserma statunitense WW II (o anche quello degli odorosissimi calendarietti da barbiere nostrani d'una volta), allo stesso modo le descrizioni degli accoppiamenti di Hammer con le sue «bimbe» sono da sceneggiatura hollywoodiana ossequiente del codice Hays, il famoso regolamento di autocensura in vigore negli Usa dagli anni '30 ai primi anni '60. Si comincia dai baci; non sempre è dato sapere, specie nei primi romanzi, se rientrino o meno fra quelli “colombini” (per usare il termine dei confessori gesuiti), si sa soltanto che fanno male (29), né c'è da stupirsene, visto chi è l'esecutore all'opera. Circa i veri e propri “congressi carnali”, poi, tutto è mantenuto piuttosto sulle generali, ma con qualche accenno (vesti che scivolano, reggiseni strappati, corpi che bruciano, insistenza sul semplice aggettivo «nuda»), che, a quanto pare, bastava a sbrigliare l'allupata fantasia del lettore dell'epoca.

Una storia a sé, una sorta di racconto in progress lungo l'arco dei vari romanzi, è il rapporto fra Hammer e la sua segretaria, Velda (30). Nel primo romanzo Hammer si limita ancora (da un bel po') a constatarne l'appetibilità: «Lavorava con me da tre anni, ma non avevo mai arrischiato un passaggio con lei. Non che me ne mancasse la voglia, ma i nostri rapporti si sarebbero messi su un piano insostenibile (31) » (come a dire: o si lavora o si scherza). Lui le dà del tu, ma Velda gli dà del voi, in fondo è il suo datore di lavoro. Ovviamente la ragazza è innamoratissima di Hammer, ma sa controllarsi assai bene e solo saltuariamente s'immusonisce per qualche traccia di rossetto sul corpo del principale. Di romanzo in romanzo il rapporto si fa più confidenziale, si passa al tu reciproco e, a un certo punto, Hammer deve confessare: «mi resi conto improvvisamente che Velda era l'unica donna al mondo che fosse sempre riuscita a tenermi a distanza pur non facendo nulla per scoraggiarmi (32) ». Fra uno stuolo di prosperose bionde, rosse e castane, tutte pronte a darla via all'irresistibile detective, Velda rappresenta dunque l'unica eccezione e sembra persino che sia ancora illibata (33), un requisito che potrebbe indurre Hammer a sposarla e a farne, come si suol dire, la madre dei suoi figli (34).

Già, il matrimonio; perché, per contraddittorio che possa apparire, Mike Hammer, oltre a tutto il resto, è anche un tipo matrimoniabile. Ma non basta. Dà pure tanta importanza al “sacro vincolo” da astenersi persino – lui, l'infaticabile sbattitore di biondone à gogo – da eventuali rapporti prematrimoniali con la donna che intende portare all'altare, come rivela, già nel primo romanzo, questo passaggio che oggi ha involontariamente acquistato una carica di inarrivabile comicità: «Anche lei era tutta un fuoco, e cercava disperatamente di annullare fra noi uno spazio che ormai non esisteva più. Avevo un braccio intorno alle sue spalle, e con una mano le scompigliavo i capelli, per premere più forte contro di me la sua testa. Non avevo mai provato niente di simile, ma era la prima volta che ero innamorato. Staccò la bocca dalla mia e giacque fra le mie braccia, abbandonata, il respiro affannoso, gli occhi chiusi. “Mike,” bisbigliò. “No,” dissi. “Sì. Devi.” “No.” “Ma perché, Mike? Perché?” “No, cara, è una cosa troppo bella perché dobbiamo rovinarla. Non adesso. Verrà anche il nostro momento” (35) ». Dove l'opinione sul termine di effettuazione della «cosa troppo bella» sembra presa di peso dalle corrispondenze con le lettrici che la giornalista Colette Rosselli, sotto lo pseudonimo di Donna Letizia , intratteneva in quel torno di tempo su “Grazia” ed in cui non si stancava di raccomandare alle giovani fidanzate di respingere, con dolce fermezza, qualsiasi richiesta di una “prova d'amore” prima del matrimonio. Come se non bastasse, programmando la futura vita a due, Hammer pone anche la condizione che la donna rinunzi alla propria professione e si dedichi soltanto alla casa: «“Oh, se ci troviamo nei guai, posso sempre rimettermi a lavorare.” “Niente da fare. Mia moglie non deve lavorare. Voglio che stia a casa, dove so di poterla sempre trovare” (36) ».

Sono affermazioni di principio, queste sul rispetto per la futura sposa e sulla sua successiva ed esclusiva destinazione ad angelo del focolare, che avrebbe potuto sottoscrivere qualsiasi giovane impiegato, anche di gruppo B, nella sobria Italia dei primi anni Cinquanta, ancora senza elettrodomestici, senza automobili e senza tour operator . Stante questa comunanza di vedute sulle questioni di fondo, con un eroe come Mike Hammer per il lettore comune di allora era facile identificarsi; tanto più che, secondo la più classica schizofrenia della morale piccoloborghese d'ogni tempo, ci si guadagnava l'opportunità di sognare ad occhi aperti tutte le altre esperienze trasgressive di cui il detective era protagonista.

E, se proprio non si cadeva nel tranello dell'identificazione e si leggeva Spillane con un po' di distacco, restava sempre lo spasso di divertircisi, all'italiana, prendendone lo spunto per godersi anche i testi delle canzoni di Buscaglione o, meglio ancora, i romanzi parodistici di Carlo Manzoni: Ti spacco il muso, bimba! , Ti svito le tonsille, piccola! o Un colpo in testa e sei più bella, angelo!


(1) - Si veda, ad es.: «Allora la passeggiatrice si accorse della mia presenza. Alzò la testa, sorrise, ripose il necessario delle unghie in una borsetta di plastica piuttosto malandata e mosse ancheggiando nella mia direzione» ( Una ragazza e una pistola , 1950 – “Serie Gialla” n. 78, Garzanti, Milano 1956, p. 8). Oppure: «Come mi vide seduto accanto al distributore automatico di sigarette, ella dovette giungere alla conclusione che potevo permettermi una “serata umida” per due, e mi venne accanto, dimenando le anche» ( Il colpo gobbo , 1951 – “Serie Gialla” n. 10, Garzanti, Milano 1953, p. 7).

(2) - Nel '53: Ti ucciderò (1947), Il colpo gobbo (1951), La lunga attesa (1951) e Tragica notte (1951); nel '54: La vendetta è mia (1950); nel '55: Bacio mortale (1952).

(3) - In quel risvolto, dopo poche righe di biografia, si leggeva: «Nei sei romanzi pubblicati sino ad oggi – e il cui protagonista è un poliziotto privato che si chiama Mike Hammer – Spillane ha sempre immerso i suoi personaggi in avvenimenti delittuosi di stretta attualità: le spie atomiche, il traffico di stupefacenti, le “case chiuse”, le scommesse alle corse. Morti, situazioni drammatiche, donne di “piccola virtù”: questi i costanti motivi dell'opera». Dove resta impagabile, per il valore evocativo del sentire di quegli anni, il manto di delittuosità gettato sia sullo spionaggio atomico che sulle “case chiuse”; queste ultime, tanto per sbrigliare meglio la fantasia del lettore, corredate delle stesse virgolette allusive affiancanti la “piccola virtù” di certe donne.

(4) - «[...] mentre io la seguivo cercando di darmi l'aria di un tizio basso e grassoccio in cerca di un regalo per la propria moglie...». D. Hammett, La città degli incubi , Guanda, Parma 2001, p. 120.

(5) - «Era magro e alto poco più di un metro e mezzo. Aveva in tasca pochi spiccioli ed era torturato da una tosse ostinata. Le braccia erano esageratamente lunghe rispetto alla statura. [...] Gli occhi, alquanto distanti l'uno dall'altro, disposti al di sopra di un naso piuttosto lungo e sottile, erano color turchese chiaro e brillavano raramente». P. Cheyney, Bravo Callaghan! , “I Gialli Mondadori” n. 173, Milano 1952, p. 3.

(6) - D. Hammett, Il falco maltese , “Le strade del giallo” n. 36, “ La Biblioteca di Repubblica”, Roma 2005, p. 8.

(7) - Ivi, p. 7.

(8) - Ivi, p. 218.

(9) - R. Chandler, Il grande sonno , in Tutto Marlowe investigatore , vol. I, Mondadori, Milano 1970, p. 62.

(10) - «Seguì un bacio lungo, lento, intenso. Le sue labbra si schiusero, sotto le mie e incominciò a tremare», ivi, p. 173. «Non c'è fretta. Baciami, Parrucca d'Argento. Il suo viso pareva ghiaccio sotto le mie labbra. Alzò le mani e mi strinse il volto e mi baciò forte sulla bocca. Anche le sue labbra parevano di ghiaccio. Uscii e la porta si chiuse silenziosamente alle mie spalle; la pioggia che il vento portava a folate sotto il portico non era fredda come le sue labbra», ivi, pp 208 sg. «Mentre scendevo in città mi fermai a un bar e bevvi un paio di doppi whisky. Ma non mi servirono a niente. Riuscirono solo a farmi ricordare Parrucca d'Argento. E non l'ho più rivista», ivi, p. 234.

(11) - Vivian: «Avete delle maniere meravigliose, con le donne», Marlowe: «Mi è piaciuto baciarvi», ivi, p. 174.

(12) - «Fa un altro passo avanti, mi butta le braccia al collo e mi bacia. Che bacio, ragazzi miei! Rimango come fulminato. Mi domando se sogno o son desto», P. Cheyney, E' arrivato Lemmy Caution , “I Gialli Mondadori” n. 32, Milano 1947, p. 41. «Lei si lascia cadere su una sedia e comincia a piangere. Le falde della sua vestaglia si sono divise e io le vedo le gambe. Che gambe, ragazzi! Non dico niente», ivi, p. 62.

(13) - «La base tecnica della narrativa poliziesca tradizionale si era sempre esplicata nella relativa insignificanza di quanto non pertinesse alla conclusione, alla soluzione finale: la conclusione giustificava tutto, il resto era solo mezzo, passaggio. Nei racconti tipo “Black Mask”, invece, l'episodio prevale sulla trama, e si giudica buon intreccio quello che permette buone scene. La storia ideale è la storia che leggereste anche se mancasse la fine...». R. Chandler, Prefazione a una raccolta di racconti nei Penguin Books , 1950, cit. da Id., Tutto Marlowe investigatore , cit. p. XXIV.

(14) - Così, per fare solo qualche esempio, nel primo romanzo, Ti ucciderò , Charlotte Manning, una prosperosa psichiatra con studio in Park Avenue, fa fuori una mezza dozzina di persone unicamente per paura che possano (eventualmente!) ricattarla, dato che (forse!) hanno scoperto la sua attività collaterale di spacciatrice di droga; attività che lei, pur guadagnando già assai bene, ha intrapreso per «la ricchezza e il potere [...], per averli, semplicemente» (p. 191). Nel Colpo gobbo invece, la cattivona di turno, l'ex starlet Marsha Lee, acquista il potere che la porterà al delitto, quando il famigerato boss Charlie Fallon, sbagliando busta (quando si dice: i casi della vita!), le invia involontariamente un prezioso microfilm con lei cui potrà ricattare (indisturbata!) i vertici della malavita newyorkese. E si potrebbe continuare...

(15) - «Guardai Pat, il mio amico, il mio compagno. Il capitano Pat Chambers, il miglior funzionario della Squadra Omicidi di New York». La vendetta è mia , “Serie Gialla” n. 34, Garzanti, Milano 1954, p. 11.

(16) - Ti ucciderò , “Serie Gialla” n. 2, Garzanti, Milano 1953, p. 10.

(17) - «“Sono dunque tornato un cittadino qualunque?” chiesi. “Precisamente: senza licenza e senza permesso di porto d'armi. E questo per sempre, mettetevelo bene in testa”». La vendetta è mia , cit., p. 16. «Quando la porta si fu chiusa alle sue spalle, la voce del giudice distrettuale risuonò stridula nella stanza. “Potete andare anche voi, signor Hammer. Comincio ad essere un poco stanco della vostra sfacciataggine”. Si era fatto pallidissimo e parlava fra i denti. “Non mi meraviglierei affatto se la vostra licenza fosse revocata, e molto presto”». Il colpo gobbo , cit., p. 71.

(18) - Ti ucciderò , cit., p. 9.

(19) - Una ragazza e una pistola , cit., p. 93.

(20) - D. Hammett, Il falco maltese , cit., p. 42 e p. 52.

(21) - R. Chandler, Il grande sonno , cit., p. 231.

(22) - Il colpo gobbo , cit., p. 18.

(23) - Bastino qui solo alcuni esempi. «Il coltello ricomparve, e questa volta chiusi la mano in una morsa e torsi, con energia selvaggia. I tendini si tesero e le ossa si disarticolarono con uno scricchiolio sinistro. Lo spilungone giallo strillò e lasciò cadere il coltello. Mi rialzai di scatto. Il negro era in piedi e mi si stava precipitando contro, a testa bassa. Inutile rovinarmi la mano contro il suo cranio; alzai un piede, e la punta della mia scarpa lo colse in mezzo alla faccia. Barcollò, sempre correndo, e andò a cadere contro il muro. I denti inferiori gli pendevano fuori dalle labbra. Due incisivi erano andati a sistemarsi vicino al naso, impiastricciati di sangue». Ti ucciderò , cit., pp. 66 sg. «Puntarono diritti su di me, i due bastardi, e, quando furono ben convinti di avermi in mano e di somministrarmi una buona battuta, cavai la .45 in modo da permettere loro di vedere ben bene quella canna dalla quale poteva venire, fulminea, la morte. Era l'unico linguaggio che capissero. Il piccolo la guardò troppo a lungo. Avrebbe fatto meglio a guardare me. Gli calai con violenza il calcio sulla mascella, spaccandogli la carne fino all'osso. Lasciò cadere il randello ed indietreggiò barcollando verso il compagno con un gemito che gli salì dalla gola solo per troncarsi a mezzo quando, con un colpo ben aggiustato della canna, gli feci volare in bocca tutti quanti gli incisivi. Il colosso cercò di scostarlo. Era così fuori di sé che si precipitò verso di me a testa bassa, e mi fu facile piazzargli un energico calcio in piena faccia. Si afflosciò per terra, gemendo. Gli allungai un secondo calcio, e smise di gemere. Gli feci scivolare fuori dalle dita il tirapugni e raccolsi anche il randello. Il piccolo vomitava sul pavimento e cercava di trascinarsi faticosamente verso il lavabo. Trovai opportuno fargli provare il gusto del suo randello sulla mano sinistra, e sentii le ossa volare in pezzi». Il colpo gobbo , cit., p. 47.

(24) - Ti ucciderò , cit., p. 191.

(25) - Ivi, p. 38.

(26) - Una ragazza e una pistola , cit. p. 49.

(27) - La vendetta è mia , cit., p. 40.

(28) - Il colpo gobbo , cit., pp. 36 sg.

(29) - «Mi abbracciò e mi strinse a sé. La baciai così forte da farmi male alla bocca. Non so davvero come facesse a respirare, dal modo come la stringevo». Ti ucciderò , cit., p. 158. «Cercai la sua bocca, e sentii il fuoco correrle giù dalle labbra per tutto il corpo; si piegò indietro con un brivido, e seppi che le mie mani le facevano male, ma non se ne curava». Una ragazza e una pistola , cit., p. 94. «La presi per le spalle e la strinsi a me, premendo selvaggiamente le labbra contro le sue». La vendetta è mia , cit., p. 131. «Desideravo baciarla, forte, disperatamente, ma in questo caso le avrei fatto male alla guancia ferita. Meglio aspettare che quella bocca avesse ritrovato la sua perfezione». Il colpo gobbo , cit., p. 42.

(30) - Anche lei, in prima battuta, descritta soltanto dal punto di vista fisico: «Aveva un paio di gambe da un milione di dollari, quella ragazza, e non ci pensava due volte a metterle bene in mostra. Come segretaria rappresentava una maledetta distrazione. Teneva i capelli di un nero ebano tagliati alla paggio, e portava abiti aderentissimi che, ogni volta che la guardavo, mi facevano pensare alle curve di una strada di montagna». Ti ucciderò , cit., p. 16.

(31) - Ivi.

(32) - La vendetta è mia , cit., p. 22.

(33) - Lo lascia fondatamente supporre il terror panico che assale il protagonista verso la fine del terzo romanzo della serie di Mike Hammer, quando, essendo stato costretto a infiltrare Velda in una gang di ricattatori, è portato a ritenere che il loro capo stia per fare la festa alla piacente segretaria e accorre in extremis a salvarla: «Sono qui, Velda. Sono arrivato troppo tardi, ma sono qui adesso, e non ti dirò mai che quello che tu hai fatto era inutile. Crederai sempre che non era possibile per te agire altrimenti, che dovevi sacrificarti a questo modo, per salvarmi, che dovevi sacrificare quello che io desideravo più al mondo , e io non ti dirò niente. Mi costringerò a sorridere e cercherò di dimenticare». La vendetta è mia , cit., pp. 182 sg.

(34) - A detta di Spillane, il lieto evento matrimoniale dovrebbe verificarsi nel quindicesimo e ultimo romanzo della serie di Mike Hammer, di prossima apparizione. Cfr. Vern Smith, Hammer and tonged , www.eye.net.

(35) - Ti ucciderò , cit., p. 118.

(36) - Ivi, p. 161.

 

© Mario Rubino

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