La speranza di rendere alla nostra cara patria il suo
splendore primitivo, ci ha fatto accettare le redini del governo.
Tutto sembrava giustificare il nostro intento: i Proclami d'un generale
inglese troppo generoso per abusare della vittoria, troppo illuminato
per porre innanzi il diritto dubbioso di conquista, le prerogative imprescrittibili
d'un popolo, di cui l'indipendenza s'attacca al principio di sua storia,
e forma una base dell'equilibrio d' Italia, garantito nell' ultimo trattato
d' Aquisgrana, l'evidente nullità di sua riunione a un impero oppressore
poichè vi si ammise il principio che il consentimento degli abitanti
era indispensabile e che si conta come avessero dato lor voto in favore
di questa riunione, tutti quelli che non avevano punto votato; la dissoluzione
di questo impero, sopratutto la garanzia delle alte Potenze alleate dichiaranti
d' innanzi all'universo attento e riconoscente che era tempo che i governi
rispettassero loro indipendenza reciproca; che un trattato solenne, una
pace generale andrebbe ad assicurare i diritti e la libertà di
tutti, ristabilire l'antico equilibrio in Europa, garantire il riposo
e la libertà dei popoli, e prevenire le invasioni che già da tanto tempo hanno desolato il mondo.
Dopo queste dichiarazioni memorabili, dopo una amministrazione assai felice
per aprire le primiere sorgenti della prosperità nazionale, dopo
che lo stato ha ripreso senza ostacoli tutte le insegne della sovranità,
e che la sua antica bandiera ha sventolato su tutte le coste, ed è stata ricevuta in tutti i porti del Mediterraneo, noi siamo stati altrettanto
sorpresi che profondamente afflitti di sapere la risoluzione del Congresso
di Vienna, portante la riunione di questo stato a quello di S.M. il Re
di Sardegna.
Tutto ciò che poteva fare per i diritti del suo Popolo un governo
spogliato di tutti gli altri mezzi che quello della ragione e della giustizia,
la nostra coscienza ci rende testimonianza, e le prime corti dell'Europa
ne sono bene informate che noi l'abbiamo fatto senza riserva e senza esitazione.
Non ci resta adunque più che a compiere un tristo ed onorevole
dovere, quello di protestare che i diritti dei Genovesi all'indipendenza
possono essere sconosciuti, ma non saprebbero essere annientati.
Questo atto conservatorio non ha nulla di opposto al profondo ed inviolabile
rispetto di cui siamo penetrati per le alte Potenze contrattanti nella
capitale dell'Austria, ed è dettato dal sentimento intimo e irresistibile
del nostro dovere, ed è tale che ogni stato libero posto in simili
circostanze l'avrebbe desiderato da' suoi primi magistrati; come i nostri
rispettabili vicini l'annuncierebbero, forse se accadesse mai (e il corso
impenetrabile dei tempi può un giorno condurre questo avvenimento)
che la loro capitale fosse trasportata sopra una terra straniera, e il
lor paese riunito ad'un stato più possente.
Il nostro compito è finito, noi abdichiamo senza disgusto il potere
che ci era stato confidato sotto i migliori auspicii. Le autorità
amministrative, municipali,e giudiziarie continueranno a esercitare le
loro funzioni, le transazioni commerciali seguiranno il loro solito corso;
il popolo sarà tranquillo e meri terà, per l'attitudine
convenevole in queste gravi circostanze, la stima del principe che viene
a governarlo, e l'interesse delle potenze che prendono parteal nostro
destino.
Il Presidente del Governo
Sottoscritto GIROLAMO SERRA.
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